Il gioco del Bunkai
“Il gioco del bunkai” è un termine coniato per sdrammatizzare qualcosa che viene preso un po’ troppo sul serio.
Articolo di Nando Balzarro
Sommario
Definire il “gioco”
Già definire “gioco” la consueta, a tratti abusata, perlopiù enfatizzata, pratica complementare allo studio dei Kata, detta Bunkai, farà alzare il sopraciglio, se non addirittura gridare allo scandalo, numerosi maestri e appassionati praticanti.
Prima che partano gli insulti, desidero tranquillizzare gli animi subito risentiti, inserendo nella discussione questo virgolettato tratto da una qualificata rivista scientifica: “l’antropologia inizia a concepire il gioco come una sorta di deposito misterioso nel quale sopravvivevano antichi ed obsoleti costumi, credenze, istituzioni (De Sanctis Ricciardone, 1994).
I giochi, in tal senso, venivano intesi come i residui di attività più “serie” (evoluzionismo vittoriano), perciò non sarebbero stati altro che la riproduzione delle fasi primitive della storia, di quella che si può chiamare l’infanzia dell’umanità (De Sanctis Ricciardone, 1994).
Il gioco da Huizinga in poi
È solo con Huizinga, uno dei grandi teorici del gioco, che a quest’ultimo viene riconosciuta, per la prima volta, la funzione di operatore decisivo di ogni cultura [….]. La cultura sorge in forma ludica (Huizinga, 1938). […]
Se prima il gioco era considerato solo uno dei tanti tratti culturali, bisognerà attendere Huizinga per assistere ad un mutamento di approccio e metodologia di analisi e all’affermazione della tendenza ad analizzare un determinato periodo a partire dall’individuazione del modo di giocare, considerato, appunto, indicativo e rappresentativo degli elementi caratterizzanti di una data società.”
Do per scontato che, terminata la lettura sopra citata che di fatto eleva il “gioco” a significativo rango culturale, i puri spiriti marzialisti toccati nel vivo, almeno in parte, si siano calmati.
Le regole del Bunkai
In effetti, a ben pensarci, ogni “gioco” degno di questo nome, prevede alcune regole scritte oppure oralmente tramandate e convenzionalmente accettate, sulle quali basare l’intero impianto del loro ruolo in un determinato contesto.
Riguardo i nostri amati bunkai, le “regole”, se pur mai ufficialmente dichiarate ma sempre sottointese, sono universali e precisissime: la prima delle quali, in ordine d’importanza, impone un indispensabile comportamento collaborativo (per non dire sottomesso) dell’Uke di turno. In parole povere lo (spesso malcapitato e malmenato) Uke, dovrà attaccare difendere riattaccare e infine subire fulminee dirompenti percosse o leve o strangolamenti, secondo le precise volontà e autorevoli indicazioni del Sensei esecutore.
Un po’ per mutevoli regolamenti atti alla salvaguardia e incolumità dei contendenti, un po’ per necessaria semplificazione gestuale adatta ad accumulare colpi validi quindi punti e quindi vittoria, le tecniche utilizzate in gara si sono miseramente ridotte a due pugni e quattro calci.
Il Bunkai come “esercizio tecnico”
Mi sembra quindi del tutto evidente che trattasi di “gioco”… un bel gioco a seconda da che parte stai e dal non sempre affidabile “controllo” del dimostratore.
Però, come sottolineato all’inizio, identificare il Bunkai con il “gioco” (mai concepito solo come divertimento), non dovrà essere interpretato in forma denigratoria, critica, o riduttiva, se non perfino ricreativa.
Semplicemente si tratta di riconoscere all’importante “esercizio tecnico” chiamato Bunkai, quella dignità, quel valore, quella funzione, affatto fondamentale per ulteriori sviluppi affini al kumite e, soprattutto, alla difesa personale.