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Cos’è il karate, cosa significa e qual è la sua storia?

Cos’è il karate, cosa significa e qual è la sua storia?

Dal Giappone si è diffuso in tutto il mondo, è giunto a noi come difesa personale che si pratica a mani nude, ma si porta dietro anche una filosofia. Alcuni lo considerano uno sport da combattimento, altri un’arte marziale. Si pratica senza l’utilizzo di armi e le sue tecniche principali coinvolgono gli arti inferiori e superiori (calci, pugni, parate). 

Nasce originariamente in Cina con un altro nome, ma viene pian piano importato in Giappone da mercenari che attraversavano il Mare Cinese Orientale per approdare nell’arcipelago delle Ryūkyū  a fini commerciali. In particolare, ebbe la sua origine ufficiale nell’isola di Okinawa, dalla quale poi si diffuse in tutto il mondo. In Europa si consolida dopo la Seconda Guerra Mondiale grazie a diversi Maestri che ne tramandano il sapere.

Menu articolo:

  1. Karate: cosa significa
  2. Come nasce il Karate
  3. Cos’è il Karate
  4. Kihon, Kata, Kumite e Bunkai: cosa sono?
  5. Il karate come cultura
  6. I vari stili del karate
  7. Karate: dove è nato e come si è tramandato fino a noi

Karate: cosa significa

Karate (空手) è una parola giapponese composta da due kanji: “kara” (空) che significa “vuoto” e “te” (手) che significa “mano”: il suo significato letterale è quindi “mano vuota”. 

Per esteso, si usa parlare di Karatedō (空手道 karate-dō), intendendo “la via del karate” in quanto filosofia, dove il kanji 道(dō) significa appunto “via, strada”. E quindi “la via della mano vuota” è il percorso attraverso il quale impariamo questa disciplina marziale e di vita.

Perché “mano vuota? Perché il karate si combatte con le mani nude, senza l’uso delle armi.

Tuttavia, c’è un interessante storia dietro a questa parola. 

Scopri la storia della parola “Karate”

Come nasce il Karate

Il Karate è stato elaborato nella piccola isola di Okinawa. All’inizio era un’arte esoterica limitata a piccoli circoli di iniziati. La sua diffusione è legata ad un incontro importante tra Gichin Funakoshi e Jigoro Kano (il fondatore del Judo), ed è infatti nel corso degli anni Venti che il Karate è stato introdotto nelle isole principali del Giappone (Hondo).  Il secondo passo importante è rappresentato da una manifestazione nella quale l’imperatore del Giappone, Hiro Hito, stupito da quest’arte decide di portarla a Tokyo. È stato qui che il karate ha iniziato a conquistare il Giappone, per poi espandersi in tutto il mondo.

Cos’è il Karate

Il Karate alle origini appariva, al tempo stesso, come una pratica di combattimento a mani nude efficace e come una forma della cultura orientale, resa facilmente accessibile agli Occidentali dalla sua storia recente. 

È visibile dunque una dinamica dell’arte del Karate, la cui storia si sta evolvendo e le cui radici affondano in un’antica tradizione.

Il Karate è: • un’arte marziale fondata su una filosofia che insegna a perseguire la Via (Do) della perfezione (della tecnica e del carattere); • uno sport moderno che, pur con un occhio alla tradizione, si è evoluto come tutte le discipline sportive avvalendosi degli studi di biomeccanica, metodologia dell’allenamento e in generale di tutte le Scienze dello Sport.


Dal punto di vista più moderno, si esprime in due specialità: il Kumite (combattimento libero) ed il Kata (forma).

Kihon, Kata, Kumite e Bunkai: cosa sono?

Il Kihon, nel karate, è un insieme di tecniche fondamentali che si allenano in sequenza variabile per arrivare a padroneggiare le difese e gli attacchi che costituiscono le basi del combattimento stesso. La parola “Ki”-“hon”, è composta da due significati: “radice” e “base”, ad indicare che per far crescere un albero solido bisogna radicarlo bene nelle fondamenta del suolo. Lo stesso accade quando si svolgono i kihon, sequenze di tecniche che permettono di studiare il movimento e che solitamente vengono ripetute numerose volte al fine di perfezionare il gesto prima di passare oltre (a tecniche più complesse, a combinazioni più articolate, oppure al kata che può comprendere le tecniche dei kihon).

Il kihon ha quindi una funzione preparatoria e di studio, che consente al praticante di isolare le azioni al fine di semplificare l’apprendimento e di memorizzare il gesto nella maniera più corretta possibile.

Il Kata, che significa “forma”, “sequenza tecnica” riguarda l’analisi e lo studio delle tecniche di Karate messe in pratica senza avversari (a vuoto) mettendo in risalto la precisione tecnica e la potenza (intesa come prodotto della forza per la velocità) con cui vengono eseguite le tecniche. Il Kata rappresenta un insieme di attacchi e di difese codificati in un ordine prestabilito in cui sono raccolte quasi tutte le tecniche di attacco e di parata oltre ai numerosissimi spostamenti esistenti nel Karate, esistono molteplici Kata per ogni stile di Karate, trasmessi dai Maestri orientali che li hanno creati.

Eseguendo il Kata l’atleta deve seguire un tracciato codificato rispettando scrupolosamente precisi parametri prestabiliti che determineranno l’indiscussa superiorità tecnica di una prova rispetto ad un’altra (non essendoci il KO, ma misurando l’incontro per punteggio):


• Tecnica,
• Potenza (intesa come prodotto della Forza per la Velocità),
Kime (pron. “Kimé”, capacità di contrazione e decontrazione muscolare),
• Ritmo (con cui si eseguono i combattimenti immaginari o codificati),
• Espressività, cioè la capacità di comunicare attraverso i gesti tecnici la propria personalità e la propria creatività,
• Sincronizzazione (se si tratta di Kata a squadre) contro più avversari.

Nei Kata, che derivano dalla tradizione di ogni stile e scuola, viene studiata la forma e perfezione della tecnica durante la rappresentazione a vuoto, secondo lo schema fisso e immutabile di un combattimento immaginario contro più avversari. Essendo nato come pratica e cultura esoterica, il karate mantiene ancora, nei Kata, questo “nascondimento” delle tecniche in sequenze non facili da comprendere per un neofita. Ogni movimento, però, può avere un significato preciso o molteplici significati, che devono essere interpretati.

Il Bunkai è l’applicazione reale del kata, ovvero l’applicazione delle tecniche contenute all’interno di un Kata, sviscerate e tradotte in un combattimento con uno o più avversari reali.

La caratteristica fondamentale del Kumite, che lo distingue da altri sport similari, è l’assoluta precisione richiesta nell’esecuzione delle tecniche di calcio e pugno che non devono provocare traumi all’avversario; ciò sottopone il Karateka ad un continuo esercizio di autocontrollo, mentale e fisico, volto a garantire l’incolumità. Le tecniche, infatti, non possono che sfiorare l’avversario (skin touch) in viso e nel petto, possono entrare a contatto solo nei fianchi e nell’addome; tranne nello stile Kyokushinkai, nel quale esiste ancora il full contact e l’incontro finisce per K.O.

Il karate, dunque, sia come sport di combattimento sia come arte marziale, incentra la sua pratica in una ricerca della perfezione del gesto, che si traduce agonisticamente in una “pulizia” del gesto.

Il karate come arte marziale tradizionale si è infatti evoluta nel tempo fino a diventare una pratica agonistica non più legata alla lotta per la vita o la morte.

Il karate come cultura

Lotman, linguista semiotico russo, fondatore della semiotica della cultura, dà una sua definizione della cultura: “l’insieme di tutta l’informazione non ereditaria e dei mezzi per la sua organizzazione e conservazione”, e precisa che però essa non è un deposito d’informazione, ma è un meccanismo mobile.

Ora, nel Karate vi sono combattimenti codificati da tempo, che si chiamano “Kata”. Il kata, come abbiamo visto, significa sia “forma” (etimologicamente: “tracciare col pennello una somiglianza esatta”), sia “stampo” (etimologicamente: “forma originale fatta di terra”). “Entrambi gli ideogrammi hanno, da molto tempo, il significato di “traccia lasciata”, “forma ideale”, “legge”, “abitudine”. La parola “kata” evoca dunque a un tempo l’immagine di una forma ideale e la sua rigidità, ma si ignora precisamente a partire da quale epoca fu utilizzata per designare la fissazione e la trasmissione di conoscenze avente per base una tecnica gestuale codificata”.

I Kata nel Karate, come abbiamo visto, sono esercizi individuali o a squadre che rappresentano combattimenti reali contro più avversari immaginari, tramandati dai Maestri.

Il Karate, infatti, è nato dividendosi in vari stili.

I vari stili del karate

Si parla di “ryū” per intendere le diverse scuole (inteso come filoni), e di “kan” per intendere il dojo.

In estrema sintesi, il karate è caratterizzato da alcune scuole principali:

in particolare, il M° Gichin Funakoshi ha fondato lo stile Shotokan, il M° Kenwa Mabuni lo Shito-ryū, il Wado-ryū  invece è nato a partire da uno dei primi e più validi allievi di Funakoshi, il maestro Hironori Ōtsuka, mentre il Goju-ryū ha origine dal maestro Kanryo Higahonna con il nome di “Naha-te”. Il Kyokushinkai è stato creato invece dal maestro Masutatsu Ōyama che, dopo aver praticato Shotokan e Goju-ryū, ha fondato questo stile basato sul kumite full contact.

Riepilogando quindi i Maestri fondatori e i loro stili:

  • M° Gichin Funakoshi  Shotokan
  • Kenwa Mabuni  Shito-ryū
  • Hironori Ōtsuka  Wado-ryū
  • M° Kanryo Higahonna  Goju-ryū
  • M° Masutatsu Ōyama  Kyokushinkai (o Kyokushinkan)

Ogni stile ha i suoi kata: il Karate Shotokan ne conta 26, lo Shitō-ryū ne conta più di 40. Ognuno di questi kata ha un nome dotato di un significato, e una sequenza codificata di tecniche, atte a difendersi in un combattimento.

Kenji Tokitsu, nel libro “Storia del Karate: la via della mano vuota”, nel capitolo “I kata dello Shotokan”, scrive: “L’insegnamento e la trasmissione del Karate sono avvenuti senza utilizzare la scrittura. Era anche generalmente proibito usare la scrittura per fissare l’insegnamento ricevuto”.

I kata sono stati tramandati e nel corso dei decenni, da Maestro in allievo (all’epoca ogni Maestro aveva pochissimi allievi, se non uno solo). Essi, nel corso della Storia, hanno subito mutamenti dovuti all’interpretazione del Maestro, alla sua costituzione fisica e alle influenze di altre culture in quel periodo. Ancora oggi, nelle varie scuole esistenti in Italia e nel mondo sono visibili differenze nell’esecuzione di un Kata a seconda dell’interpretazione adottata dal Maestro.

Werner Lind (Maestro di Karate 8° Dan e autore di molteplici libri sul budo) scrive: “Fra i moderni indirizzi di stile del Karate si conoscono oggi circa 60 kata tradizionali. Le origini di alcuni di essi, come ad esempio il Jion, risalgono al monastero Shaolin. Altri hanno avuto origine a Okinawa e in Giappone oppure sono delle elaborazioni dei primi kata. L’idea di base tuttavia nasce dalle arti marziali cinesi e si ritrova in tutti i kata tradizionali.

Karate: dove è nato e come si è tramandato fino a noi

Il Karate moderno, come dicevamo, ha origine a Okinawa, una piccola isola nel sud del Giappone, ove gli uomini si sono esercitati per secoli nel Tode, arte marziale del luogo. Oggi è ormai risaputo che la trasformazione del Tode in Karate ha avuto luogo attraverso la trasposizione del concetto cinese nel Tode. Questo è accaduto all’inizio attraverso il recupero del Dao cinese (kata) nell’arte marziale okiwanese.

Kushanku (Koshokun) era uno dei maggiori Maestri cinesi di Quanfa e si trovava a Okinawa come ambasciatore dell’imperatore cinese. A lui dobbiamo l’omonimo kata che successivamente si sviluppò, con altre peculiarità, attraverso Sakugawa e Yara”.

Il kata diventò a Okinawa molto di più che un metodo di pura tecnica. La cultura cinese riempì i kata di complicati aspetti psicologici e filosofici che in seguito avrebbero costituito l’insegnamento interiore delle arti marziali. 

Tuttavia il loro insegnamento non era aperto a tutti.

Si diffuse infatti anche la vecchia abitudine cinese di rendere sempre più difficile la comprensione marziale dei movimenti tipici di una scuola, in modo che un allievo appartenente a un’altra non potesse rubarne le tecniche. La conoscenza dei kata venne concepita come patrimonio esclusivo e i Maestri la trasmettevano soltanto ai loro discepoli; un kata non poteva essere decifrato senza l’aiuto di un Maestro, anche se si era padroni della forma.

Il Maestro Funakoshi, nel suo libro “Karate-do Nyumon”, racconta una storia che parla del segreto del kata ad Okinawa:

“Fino a oggi continua la tradizione del segreto di Okinawa. Circa 10 anni fa ricevetti la seguente offerta da un anziano signore: “Conosco un kata che non ho mai insegnato a nessuno e che desidero trasmettere a Lei prima di morire”. Apprezzai la sua gentilezza; tuttavia, non potevo allontanarmi da Tokio tanto facilmente. In quel momento il mio terzo figlio Gigo doveva recarsi a Okinawa per affari e quindi pregai l’anziano signore di insegnare a lui il kata posto mio. L’anziano signore si rallegrò all’arrivo di Gigo. Nel momento in cui gli mostrò il kata, chiuse tutte le porte e le imposte delle finestre in modo che nessuno potesse sbirciare da fuori. Non appena la lezione fu finita disse: “Ora posso morire in pace. Fra gli uomini a cui ho rifiutato il kata c’era uno che ha insistito talmente a lungo che alla fine ho dovuto cedere, cambiando tuttavia la forma e i movimenti più importanti. Se quindi in futuro dovessero sorgere di dubbi rispetto a questo kata, dì a tuo padre che quello che ti ho insegnato è quello giusto”. Durante la mia giovinezza, casi di questo genere erano ancora molto frequenti. Questo spiega il motivo per cui esistono tante varianti diverse di quello che originalmente era un singolo kata. Inoltre esiste sempre la possibilità che un allievo fraintenda un kata e che lo insegni in modo diverso, interrompendone così la trasmissione corretta.”

 Il Karate, quindi, non si tramanda certo per testi (che comunque esistono come archivio e testimonianza) ma piuttosto per “gesti”. Pensiamo infatti soltanto alla differenza di esecuzione di un Kata a seconda del Maestro che lo insegna. Piccoli particolari nelle posizioni o leggere sfumature nelle interpretazioni.

Esso nasce come una pratica ritualizzata, trasmessa da maestro ad allievo, e si costituisce in quanto sedimentazione di consuetudini. Ancora oggi il Karate è in evoluzione. I libri che contengono le sequenze dei kata, scritti da Maestri importanti e anche fondatori, quali ad esempio Funakoshi e Nakayama, sono semplicemente delle testimonianze di consuetudini ormai consolidate. In altre parole, non si passa dalla regola all’uso, ma dall’uso alla regola: l’uso diventa regola.

La pratica agonistica possiede dei regolamenti. Tuttavia, le regole sono state stabilite proprio per la necessità di renderlo sportivo e quindi si è costruito un Fair Play, ovvero un codice e una misura condivisa, al fine di rendere possibile, in uno stato di gara sportiva (senza più il metro del vivo-o-morto), giudicare vincitori e vinti. 

Quindi il Karate è molto simile ad una Common Law anglosassone, ovvero una cultura ritualizzata ed empirica, nella quale si impara da esempi, che sono arrivati fino a noi.

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